L’Intervento
Lettera aperta ai Repubblicani: Torniamo a casa? – e p.c. a Carlo Calenda

di SERGIO FILIPPI
L’11 febbraio scorso mi sono iscritto ad Azione convinto che i Liberaldemocratici hanno il dovere di costruire una Casa comune per il bene del Paese. Oggi mi sono dimesso da Azione. Ci ho messo molto meno di quanto ci mise Calenda ad iscriversi al PD e poi ad uscirne.
Le ragioni risiedono tutte nella delusione generata dalla vicenda ternana che ha visto la frantumazione del Terzo Polo per scongiurare la quale mi appellai, inascoltato, il 23 marzo a Leonelli e Calenda (⇰). Tale vicenda si inquadra inoltre in un contesto nazionale contraddittorio che non vede decollare con forza il Partito Unico e vede ancora trastullarsi nei frazionismi e nei personalismi le varie sigle politiche che si rifanno alla Liberaldemocrazia. Soprattutto ha visto da parte di Azione costruire il suo gruppo dirigente locale con transfughi e personaggi in cerca di nuovo autore per riciclarsi in nuove edizioni. Con l’effetto di assistere come nel caso di Terni a migrazioni e contro migrazioni di ex amministratori locali: in un anno, dal PD ad Azione a FdI.
Insomma, svanisce il sogno di Ugo LaMalfa che oggi in condizioni decisamente migliori che al suo tempo avrebbero consentito a Calenda di raccogliere la sfida per costruire un Partito autorevole e, se mai di minoranza, comunque con ampi consensi per fare ancora meglio di come fece il PRI con il 3%.
Ho militato nel PRI fino al 1992, Nel 1984 ho promosso e partecipato a Terni alla prima giunta PCI/PSI/PRI di un capoluogo di provincia. Nel 1993 ho promosso Alleanza Democratica che ha portato Ciaurro a sindaco di Terni e poi ho tifato per il PD di Veltroni e poi di Renzi, come militante di base dal 2013 al 2018. Ho sostenuto le giunte di centrosinistra di Raffaelli. Ho partecipato agli scontri interni al Partito Democratico ternano successivi alla caduta della giunta Di Girolamo, schierandomi con la terza via composta soprattutto da giovani contro i gruppi contrapposti capitanati da vari capibastone. Sono quindi uscito dal PD ma non voglio abbandonare la speranza che, come auspicava Spadolini, anche in Italia si strutturi una Sinistra democratica ed una Destra liberale, entrambe europeiste.
Debbo però prendere atto che la stagione del Partito “a vocazione maggioritaria” si è chiusa e che la Sinistra cosiddetta radicale deve fare un lungo percorso per tornare, forse con originalità, da dove viene e poi, forse, riprendere la strada già battuta dopo il crollo del Muro di Berlino per trasformarsi di nuovo in forza di governo del Paese.
Inoltre questo Centro Destra non ce l’ha fatta, neppure negli anni del consenso inarrestabile di Berlusconi, a trasformarsi in Destra Liberale ed ora si affida al trasformismo dei nostalgici del Fascismo che, forse, con l’esercizio del potere arriveranno ad apprezzare, come è stato per gli ex comunisti, le garanzie democratiche.
Sono venuto via dalla piccola Casa Repubblicana che Ugo LaMalfa occupò negli anni ‘50 con alcuni reduci del Partito d’Azione, credendo che nel PD ci fossero le condizioni per una grande Casa della Sinistra Democratica (o quantomeno un condominio).
L’unica cosa certa è che, come ieri, non voglio morire democristiano.
Ed allora, se proprio ci si deve tenere tutta intera la propria identità senza poterne cedere ad alcuno la parte migliore per qualcosa di più grande e moderno, allora ce ne dovremmo tornare a casa? Nel vecchio Partito Repubblicano Italiano? O no?