L’Opinione
di SERGIO FILIPPI*

Nel dopoguerra Terni si dotò di un Piano Regolatore che avrebbe dovuto ricucire le lacerazioni dei bombardamenti e governare l’atteso sviluppo. Era il vanto delle Giunte socialcomuniste degli anni ‘50 e ‘60 che hanno espresso gli amministratori e i tecnici dagli anni ‘70 ad oltre gli anni ‘90. Quell’unico PRG, seguito da diverse Varianti, era pieno di dettagli normativi e previsionali, non solo urbanistici ma anche edilizi, utili per regolare con stile e funzionalità la prevista espansione immobiliare e l’uso del territorio.
Il risultato, dopo settant’anni?
Eccola qua, Terni! Senza un cuore, senza arterie, senza periferie policentriche, senza comunità che si ritrovino in ambienti urbani e contenitori edilizi identitari e funzionali anche solo alla erogazione di servizi. Insomma, dallo sbandierato PRG del dopoguerra agli interventi caotici e contraddittori dei decenni successivi. È il classico predicar bene con il razzolar male? È la recita consapevole della doppiezza togliattiana o di quella gesuitica? Forse è solo l’effetto di bisogni pressanti e di pressioni sul ceto politico locale. Forse, il risultato dell’agire quotidiano di mediocri tecnici di provincia e di amministratori accondiscendenti, dimentichi dei propri visionari programmi urbanistici.
Eppure spunti, iniziative, accenni di innovazione, esempi di buona e originale architettura di Scuola Ternana, o di Architetti di rilievo nazionale, ce ne sono stati. Ma tutti puntualmente contraddetti o incompiuti. E stanno tutti li ad intralciare come una cattiva coscienza l’autocelebrazione delle Giunte sia di sinistra che di centro che, ora, di destra. Stanno tutti lì a denunciare le impronte di piccole manine di piccolissimi impresari ternani, incapaci di trasformarsi in grande impresa di costruzione, e di una classe politica sostanzialmente populista.
Proviamo ad elencarle le incompiute, limitandoci qui solo ad alcune.
La mancata sistemazione delle Tre Piazze, tanto a lungo sbandierata, con l’orrido del palazzetto dell’INA e la sostituzione della piazza Solferino con una istallazione di Aymonino senza alcuna utilità sociale e attinenza con l’anima della città. Ed è andata bene che si sia sostituita la torre dell’attuale biblioteca con un manufatto moderno quanto inutilizzato.
La mancata realizzazione degli Uffici Comunali su Corso del Popolo, con l’Uovo di Ridolfi, che dopo tanto discutere ha prodotto solo una colata di cemento senza alcun pregio nell’area dell’ex Ospedale.
La mancata realizzazione di un Distretto Universitario che contribuisse come altrove a valorizzare il centro storico.
Il mancato completamento del Campus dei Licei tra S.Francesco e piazza dell’Orologio, impedito dalla speculazione immobiliare sull’ex Orsoline.
Il mancato completamento del Villaggio Matteotti, un piccolo Laurentino ternano abbandonato a se stesso ma sempre presente nelle riviste patinate dei nostri radical chic .
Il mancato disegno organico della espansione del Quartiere Battisti. Spezzato nel suo asse principale dalla ferrovia Terni/l’Aquila, da un incomprensibile nucleo di condomini che trasformano l’asse V.le Fonderia/V.le Borsi in una gincana e da un sottopasso copia speculare del sovrappasso di V.le Borzacchini, entrambi a prova di ferodi e a rischio per pedoni.
Il mancato disegno organico della espansione dei Quartieri Cesure, San Giovanni e Cospea. Interventi che non si possono definire casuali ma figli di piani particolareggiati che non rcuciono i singoli interventi immobiliari.
Ma la più eclatante delle incompiute è la vicenda di Cicionia. Campitello, Campomaggiore, Colle Dell’Oro, Collerolletta, Gabelletta, Maratta, BorgoRivo. Scarse le preesistenze, poteva essere una nouvelle citè lecurbousiana. È oggi un bazar di palazzine con un ampio campionario di stili edilizi in assenza di spazi collettivi e di parchi.
Terni, non è brutta: ha molti singoli oggetti di pregio. Ma se la bellezza è un significante che manifesta armonia compiuta o disarmonia dialettica, quindi altrettanto attrattiva, Terni non esprime alcun significato perché pretende di nascondere ciò che non c’è. Quindi è brutta. Ed è un brutto che non piace perché la si percepisce ipocrita.
In particolare, cosa manca a Terni?
Non c’è una infrastrutturazione viaria e di autotrasporto pubblico razionale. Ci sono assi viari che partono a quattro corsie e poi proseguono in mono (Benvenuti in California: l’ironia ternana che dileggia l’ipocrisia!). Barriere infrastrutturali, ferrovie, superstrade, fossi, che vengono superate come in molte città del sud con soluzioni fantasiose e strozzature soffocanti. Una per tutta la barriera tra Via Bramante e Via del Rivo che sembra The Wall di Games of Throne che strozza il flusso veicolare e impedisce quello pedonale e ciclabile fra “Cicionia” (poco più di 20mila abitanti) ed il Centro (altri 20mila abitanti).
Non c’è un patrimonio di edilizia residenziale che possa caratterizzarla. Uguale al resto del mondo per eclettismo e kitsch. Palazzine modeste o pretenziose, sempre più unifamiliari a mordere superfici collinari. Ma anche condomini che osano superare i dieci piani in un giustapporsi caotico. Un solo inspiegabile grattacielo a Ponte Le Cave, per oltre trent’anni incompiuto, piazzato in un tessuto urbano preesistente ed in uno snodo viario che contribuirà ad ingolfare ulteriormente. È l’Italia dei geometri, per dirla anche a Terni con Rutelli. E se non ci fosse la comunità di stranieri (oltre 1 su 7 residenti) ci sarebbe un gran patrimonio edilizio inutilizzato, almeno quello degli ultimi vent’anni.
Non c’è una armonica offerta commerciale. Capace di contribuire ad organizzare spazi di vita sociale. E non c’è neppure un polo commerciale di attrazione intercomunale. Ma c’è una presenza interstiziale e pervasiva, un assalto caotico e continuo ad ogni spazio libero per insediare piccoli e medi centri commerciali senza adeguate infrastrutture viarie e senza connessioni di servizi sociali. Con risultati contraddittori per i consumatori visto che Terni è la quarta città per il costo del carrello della spesa alimentare.
Non c’è alcuna soggettività dei nuovi quartieri. A partire da “Cicionia”, nessuna centralità urbana, nessun carattere architettonico, nessun luogo di accoglienza sociale se non i centri commerciali.
Non c’è una Pubblica Amministrazione distribuita razionalmente sul territorio. Soprattutto identificabile per le sue sedi e di facile accesso. E non c’è e non è prevista alcuna espandibilità degli attuali servizi ospedalieri.
Non c’è uno sviluppo significativo delle aree verdi oltre la storica Passeggiata. Con i nuovi parchi sfregiati e chiusi, come a Cardeto, o assediati come a viale Trento. Assenti nei quartieri di espansione di Cesure, Cospea e Borgo Rivo.
Non c’è un piano leggibile di archeologia industriale. Al di là di singoli episodi, peraltro largamente abbandonati o ad uso anch’essi di interventi immobiliari e commerciali, non c’è identità di pietre e di acciaio che caratterizzi la Città dell’Acciaio.
Non c’è un Centro, vecchio o nuovo che sia. Quel poco che era sopravvissuto alle bombe è stato abbandonato salvo episodici e limitati interventi di recupero. Oggi non attrae né per offerta commerciale né per quella residenziale. La Movida è la sola novità degli ultimi trent’anni. Il Comune ed il Duomo con i loro piazzali senza forma non sono luoghi di incontro. Il Teatro non esiste. Ruote panoramiche e pattinaggi su ghiaccio non ce la fanno neppure a trasformarlo in Luna Park.
Quanto di questo “NON C’È” urbano, ambientale, fisico ha condizionato il sentire sociale, il riconoscersi comunità dei Ternani? Possibile che solo la Fabbrica ha costruito un ambiante razionale, identitario quanto mutevole?
Cosa fare? Di certo, un serio e paziente intervento di ricucitura. Ma non basta, ci servirebbero nuovi visionari progettisti e imprenditori coraggiosi. E soprattutto tanta meno ipocrisia.
Sergio Filippi
*Classe 1954. Dirigente di imprese cooperative. Già Assessore allo Sviluppo Economico del Comune di Terni fra il 1985 ed il 1990. Repubblicano dal 1970 fino al 1992.