
di UGHERIO STENTELLA
La cupidigia spesso incupisce i cuori e avvelena gli animi, spingendo gli uomini a compiere atti insensati e ignominiosi. E’ il caso di due figuri di Vasciano, Alessandro Stentella e Sante Letterucci, che il 10 agosto del 1890, a scopo di rapina, compirono un eccidio di monaci allo Speco di S. Urbano. Un evento tragico ed inconcepibile, che insanguinava l’Eremo francescano, luogo santificato dallo stesso Poverello d’Assisi.
Un fatto di cronaca, che impressionava la popolazione locale, trovava spazio sui giornali nazionali e sarà ripreso più tardi dalla rivista “L’Epoca” del principe Giovannelli.
I due s’erano assicurata la collaborazione del garzone dei frati, un certo Agabito Salvati di S.Urbano, che li consigliava ad agire dopo il 5. Quel giorno infatti un confratello sarebbe partito per Assisi e il padre guardiano per Schifanoia, per celebrarvi la messa per la festa di S. Lorenzo; nell’Eremo sarebbero rimasti solo padre Emidio da Gradoli e due fratelli laici: Natalino da Massa Martana e Idolfonso di Badia San Salvatore.
I tre erano riuniti a pranzo nel refettorio, quando il 10 di Agosto irruppero lo Stentella e il Letterucci, cui il Salvati aveva spalancato le porte del convento. Aggrediti con ferocia, come scrive don Gelindo Ceroni, , i frati si difesero con coraggio ma furono alla fine sopraffatti. I manigoldi s’impossessarono di ogni cosa di valore e gettate le armi nel pozzo, si ritirarono a dividersi il bottino proprio nella “Grotta di S. Francesco”. Per non dividerlo col garzone, soprattutto per eliminare un testimone scomodo, s’avventarono sul Salvati, finendolo a colpi di scure.
Nell’uscire dal convento, si trovarono però di fronte una vecchietta del posto, che, da buona lavandaia, arrivava per riconsegnare la biancheria lavata e stirata. Lo Stentella e il Letterucci la minacciarono, ingiungendogli, dopo averle messo 5 lire in mano, di riferire all’autorità, come ad assassinare i monaci erano stati i fratelli Mazzocchi.
A sera il padre guardiano, Leone Tano da Sangemini, tornando da Schifannoia, bussava più volte al portone e chiamava senza esito i propri confratelli; scavalcato il muro di cinta e penetrato nel refettorio, scopriva l’orrendo delitto. Le indagini portarono all’arresto e all’incarcerazione dei Mazzocchi, indicati dalla lavandaia come autori dell’eccidio. Nella colluttazione però uno dei frati aveva spezzato un braccio al garzone e ferito ad un braccio lo Stentella con una coltellata. Poiché la ferita non si decideva a rimarginare, questi fu costretto a ricorrere alla cure di un medico, che naturalmente, come suo dovere, gli chiese spiegazioni in merito; non sottosfatto delle risposte, continuò a pressarlo, fino a ottenere la confessione, che portò all’arresto dei veri assassini e alla liberazione dei poveri fratelli Mazzocchi.
Dopo l’eccidio i monaci rimasti vennero destinati ad altre sedi, suppellettili ed arredi sacri al vicino convento di Stroncone, l’Eremo affittato a privati. Iniziava per quest’ultimo un lento declino, da cui lo strappò la sagace opera di don Gelindo, che, lasciata la parrocchia di Collescipoli, s’era ritirato convalescente a Itieli. Con competenza e passione lo riadattava al culto e ripristinava le tradizioni francescane. Arriverà poi dal Capitolo di Assisi padre Placido a rilanciare lo Speco e farne di nuovo luogo di accoglienza, di preghiera e di pace.