
Il 27 marzo 1929 la Questura di Perugia aprì un’indagine su un commercio clandestino di reperti archeologici di grande valore risalenti all’età etrusca. La notizia che dette il via all’attività investigativa arrivò per le vie confidenziali: a Pila, frazione perugina, erano stati ritrovati casualmente numerosi reperti e da Parigi, erano arrivate offerte di acquisto da parte di qualche antiquario.
Fu così che uomini della polizia tributaria investigativa si presentarono quella mattina in una casa di contadini, a Pila, sequestrando alcuni oggetti “fra i quali sono di grande valore storico ed artistico un grande scudo in lamina di bronzo, due gambali pure di bronzo, la punta di un’insegna, due orecchini d’oro e parte di una collana d’oro”.
Tutti gli oggetti furono depositati presso la direzione Musei la quale stabilì a sua volta di avviare un’indagine sistematica nel luogo dei ritrovamenti ritenendo che si trattasse di un sito archeologico ricchissimo.
Fu così che fu studiata l'area archeologica di Pila che, negli anni successivi, ha restituito molto materiale, conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Perugia, con testimonianze che risalgono, le più antiche, alla presenza dell'uomo quaternario, in quella località facilitata dalle condizioni boschive e dalla esistenza di corsi d'acqua, perenni come Genna, Caina, Nestore che scorrono nelle vallette di questa regione. La zona di Pila era anche interessata dalla direttrice stradale che in epoca etrusca congiungeva Perugia ed Orvieto, nel tracciato che da S. Sisto passava per Strozzacapponi, Castel del Piano, S. Biagio della Valle, Spina.