Terni mura, la porta Valnerina

Viale Brin, da oltre un secolo cuore della Terni industriale

Viale Brin, il cuore pulsante della Terni industriale. Alla metà degli anni Sessanta, al cambio del turno, migliaia di operai la percorrevano in bicicletta, in scooter o sul bus di linea. Lì stavano tutte le fabbriche principali, fatta eccezione per la Polymer. Allora erano circa ottomila gli occupati alle acciaierie, cinquecento alla Fabbrica d’armi, centinaia quelli dello iutificio. Da viale Brin partivano i lunghi cortei delle manifestazioni operaie, fossero contro l’adesione dell’Italia alla Nato, contro i licenziamenti degli anni Cinquanta e, più di recente, contro i tedeschi della ThyssenKrupp. Pagine importanti della storia operaia cittadina hanno avuto come teatro quel lungo rettilineo: dall’uccisione di Luigi Trastulli (1949), alla prima requisizione da parte di un sindaco di una fabbrica (la Centurini) che minacciava la chiusura.

Solo cent’anni prima quella zona, era un susseguirsi di uliveti, frutteti, mole per l’olio: terra rigogliosa traversata da una rete di canali. La città finiva al di qua del Nera e del Serra. Da Porta San Giovanni una strada, scavalcato il Serra, lambiva le chiese di Santa Maria Maddalena e di San Paolo per poi arrivare a Papigno e alla Cascata. La bellezza dei luoghi sazia gli occhi – scrisse in sostanza Paolano Manassei – ma serve saziare pure la pancia. La città era povera. Aveva sperato molto nella nascita del regno d’Italia, e in un mercato più vasto. Ma l’industria tessile non reggeva il confronto con le grandi produzioni del Nord; le concerie furono annientate dall’aumento vertiginoso del costo del bestiame e quindi delle pelli; l’olio della Puglia saturava il mercato. Così all’inizio del decennio 1870 si salutò con rinnovate speranze l’apertura della Fabbrica d’Armi. Il Comune costruì una nuova, grandiosa opera idraulica, il canale Nerino: deviando l’acqua del fiume forniva energia a quello stabilimento e ad altri che sarebbero potuti arrivare. Una politica tesa a rendere il territorio appetibile per nuovi investitori.

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La derivazione del Canale Nerino a Cervara

Era ad Est della città che si individuava la direttrice per gli insediamenti industriali. Fabbrica d’Armi, poi le acciaierie, lo iutificio, il lanificio che dava lavoro a 1.500 persone. Dalla barriera Valnerina si realizzò la nuova strada per l’area industriale, viale Brin, appunto.

Il problema dei problemì diventò la mancanza di alloggi. Terni nel 1901 aveva quasi trentunomila abitanti, il doppio rispetto al 1881. Le case del centro storico erano vecchie, malsane e sovraffollate: 12,9 abitanti per ogni alloggio, dicono le statistiche. Nacquero spontanei due agglomerati, vicini tra loro, i quartieri Costa e Cavallotti. Sant’Agnese, oggi. Tra il muro della fabbrica e la città, fino al limitare di viale Brin. Edilizia spontanea, povera e caotica.

Fu la Carburo di Calcio a costruire i primi alloggi per operai. Quelli del Palazzone: 89 appartamenti. Contemporaneamente si avviò la costruzione della città nuova, fatta di spazi ampi come la grande piazza Tacito. Vi abitavano in seicento, al Palazzone. Assorbendo la Carburo la Saffat diventò proprietaria del Palazzone e successivamente trasformò viale Brin in una sua pertinenza: dalla mensa, allo stadio e due nuovi casermoni: il Palazzo Rosa e il Grattacielo. Era la fabbrica totale, con la “Terni” che interveniva anche nella gestione della salute e del tempo libero dei dipendenti, dallo sport al Cantamaggio.

La strada, in questo senso, l’aveva però in qualche modo già tracciata Cassian Bon, il quale finanziò in proprio una polisportiva nata in mezzo alle case povere di Sant’Agnese. E lì a ricordare quel gesto c’è ancor oggi l’unica lapide che Terni ha dedicato al fondatore della Saffat.

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Viale Brin

Sant’Agnese

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