Da più di vent’anni si sapeva che quel tratto di marciapiede nel punto in cui piazza Buozzi genera viale Brin poteva non fornire le necessarie garanzie di sicurezza. Lo spiegava la relazione di un geometra che, per un contenzioso tra privati, effettuò una perizia proprio lì nel febbraio del 1993, riscontrando “la gravità statica del solaio di calpestio quota terra” e “il pericolo di crollo esistente”. Il sopralluogo non fu compiuto per il marciapiede, ma per una costruzione sorta nel 1952 (con regolare autorizzazione) a riempire lo spazio vuoto tra le facciate di due palazzi a suo tempo edificati fino sulle sponde del fosso della Bardesca. Si costruì proprio sopra il canale e appena oltre la porta di uscita da quei vani che nel 1993 erano già “ballerini” si trova il marciapiede che sabato 8 ottobre 2016 è sprofondato aprendo una voragine.
Pare la solita storia di gestione burocratica all’italiana, con uffici che non vanno oltre le strette competenze e che non colloquiano tra loro. Quel tecnico la perizia la effettuò allegandola alle carte di una causa civile, una pratica depositata in un ufficio pubblico e sicuramente presa in esame in sede giudiziale. Nessuno però, forse appunto perché non era di sua competenza, si preoccupò. Eppure c’era da farsi venire il sospetto che l’eventuale crollo di quella casa prospiciente al marciapiede, avrebbe potuto avere effetti tragici per chi si fosse trovato a passare. Niente. Nessuno andò a fondo, nessuno chiese quanto meno una verifica, un esame più approfondito per stabilire l’esistenza o meno di un pericolo. Tutto finì nel dimenticatoio.
Quella perizia, però, la ricordò nel 2011 il progettista di un piano di recupero per i due palazzi attualmente disabitati e che portano i primi numeri civici di viale Brin. Uno di questi è “legato” al palazzo allungato che s’affaccia su via della Bardesca da quella “superfetazione”, quell’unico piano con tetto a terrazza costruito sopra il canale. Il progettista, nella relazione consegnata agli uffici comunali, non solo riferiva delle conclusioni cui nel ’93 era giunto il perito evidentemente nominato dal Tribunale, ma aggiungeva di suo che lo stato di precarietà di quella costruzione rimaneva “un rischio per la pubblica incolumità”.
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