
La notte tra il 19 e il 20 settembre 1880 due sergenti di artiglieria di stanza a Terni finirono coinvolti in una rissa con alcuni giovani ed ebbero la peggio; uno dei due morì per una serie di coltellate, l’altro fu ricoverato con una brutta ferita in testa.
Un fatto cruento, grave. Che gli inquirenti solo con difficoltà riuscirono in qualche modo a ricostruire. Le prime notizie erano per forza di cose frammentarie. Riferivano che a Terni c’era stata una rissa tra due sergenti di artiglieria e due fratelli, di mestiere calzolai, i quali si erano scagliati armati contro i militari. In diverse parti d’Italia s’erano registrate aggressioni a militari, segno – si sosteneva – di un cattivo rapporto tra l’esercito e la cittadinanza. A Cesena alcuni giovinastri avevano insultato una pattuglia dei carabinieri che li aveva invitati ad evitare schiamazzi; a Rimini un militare era stato pugnalato alle spalle mentre, di notte, usciva da una casa chiusa; a Forlì c’erano stati disordini tra alcuni giovani e i componenti la fanfara dei bersaglieri i quali avevano reagito agli insulti. C’erano stati anche fatti che non mettevano in buona luce i militari: Milano un capitano e un tenente erano finiti in Tribunale l’uno contro l’altro; a Roma un soldato era stato arrestato per grida sediziose; a Palermo due bersaglieri erano finiti in galera per grassazione; a Napoli un ufficiale aveva ferito un privato cittadino.
La rissa di Terni si verificò in corso Vittorio Emanuele, la strada principale della città, quello che oggi è Corso Vecchio. I due sergenti di artiglieria stavano rientrando in caserma, nell’ex convento di San Procolo, quando incontrarono un gruppo di uomini che arrivava dalla direzione opposta alla loro cantando canzoni oscene. Uno di loro si avvicinò ai due soldati intimando che cantassero anche loro, e al diniego replicò con ingiurie e frasi di scherno. Fu una provocazione, si disse, per avere la scusa di aggredire i due sergenti, che, imperterriti proseguirono per la loro strada. I giovinastri li seguirono e quando tutti arrivarono a un chiassuolo (uno stretto vicolo nella vecchia Terni), i soldati furono presi a sassate: uno dei due cadde per terra colpito alla testa e tramortito. Il collega sguainò la spada ma gli avversari gli furono subito addosso cominciando a lavorare di coltello.
Dalla finestra di un’abitazione qualcuno chiamò e gli assalitori se la dettero a gambe mentre i due sergenti feriti si diressero verso la caserma. Uno solo, però, ebbe la forza di arrivarci l’altro svenne e morì mentre un passante cercava di aiutarlo. Una rissa dovuta all’ubriachezza, in sostanza, ma cominciò a prendere piede la tesi della provocazione creata ad arte la quale cosa sarebbe stata dimostrata dalla generale esacrazione della popolazione ternana che si apprestava ad accogliere , proprio in quei giorni, il battaglione dei bersaglieri che aveva avuto problemi di convivenza a Forlì ed era stato perciò trasferito nella “più tranquilla Terni”. I funerali del sergente ucciso furono affollatissimi, in “segno di stima per la vittima e per la divisa che indossava”.
Le indagini andavano avanti nel frattempo, e così il 10 dicembre del 1881, davanti alla Corte d’Assise di Ferrara comparvero cinque ternani. Per due di essi, i fratelli Gioacchino e Odoardo Bevilacqua, la condanna fu pesante: lavori forzati a vita; gli altri tre, Valentino Coppoli, Augusto Fabri e Augusto Antonini, furono condannati a cinque anni di reclusione.
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