L’8 agosto 1923,
a Terni una casa di un quartiere popolare, fu teatro di quello che oggi sarebbe definito “femminicidio”: un piccolo industriale, Angelo P., di cinquant’anni, invaghito della cognata, respinto più volte alla fine la uccise a coltellate. Allora i giornali definirono l’accaduto come “un tragico fatto di sangue provocato da una brutale passione”.
Vincenzina, aveva quarant’anni e un bambino di tre. L’uomo, che aveva sposato la sorella di Vincenzina, quella mattina dell’8 agosto di più di novant’anni fa, entrò all’improvviso in casa. Lei era sola col bambino. Suo marito era al lavoro. Angelo aveva fatto l’idea di dare in un qualche modo conclusione alla vicenda che si trascinava da tempo. La passione per la cognata lo stava travolgendo, la sua corte era diventata via via sempre più pressante, nonostante Vincenzina rifiutasse decisamente le sue attenzioni, assillanti, esasperanti: non appena metteva piede fuori di casa trovava lui ad aspettarla per seguirla poi passo passo fino a quando non rientrava. C’era già stata una brutta scenata, quando il marito di Vincenzina lo sorprese che stava aggredendo verbalmente la sua donna: quella non ci furono conseguenze serie solo perché alcuni coinquilini, a sentire le grida, intervennero.
Anche quella mattina provarono a portare aiuto alla donna che gridava terrorizzata dal fare minaccioso di Angelo decisamente fuori di sé. Eppure da qualche tempo, da quando c’era stato quello scontro con il marito di Vincenzina, sembrava si fosse messo l’animo in pace. Invece probabilmente covava solo un profondo rancore. Non potettero intervenire, i vicini di casa, perché nell’entrare l’aggressore aveva sbarrato la porta di casa, che si aprì solo quando Vincenzina terrorizzata, riusita a divincolarsi e col bambino in braccio provò a scappare infilando il pianerottolo di corsa. Ma lui la raggiunse, la bloccò con la forza e cominciò a colpire con grosso coltello. Vincenzina morì dissanguata in pochi minuti. Lui si costituì ai carabinieri.
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