Attigliano, guerra per gli usi civici

Uccisi a fucilate due contadini della Lega

Nella campagna di Attigliano lo scontro fu selvaggio: schioppettate da una parte, fendenti d’accetta dall’altra. Il bilancio fu di due morti, due feriti gravi, mentre altri che avevano riportato minori danni rimasero nell’ombra per il timore di essere arrestati. Avvenne nella mattinata del 29 gennaio 1909, nel bosco della Bandita.

La Lega dei Contadini di Attigliano reclamava il rispetto degli usi civici. Tra le Leghe e i proprietari terrieri c’era tensione da tempo, in special modo nella campagna laziale ed a cavallo del confine con l’Umbria, dove le grandi proprietà si estendevano per centinaia di ettari mentre i contadini non avevano terre per la semina, per fare legna e per il pascolo. C’era una legge che regolava gli usi civici e che concedeva alcuni diritti ai contadini, ma i latifondisti erano restii ad applicarle. In territorio del Comune di Attigliano, agli inizi del XX secolo, si estendevano le terre dei duchi di Bomarzo, titolo che era appannaggio dei principi Borghese.
Irremovibile su tutto il resto, il principe aveva alla fine trovato un accordo con le leghe di Attigliano, Giove, Bomarzo e Bassano in Teverina, concedendo l’uso civico di legnatico, ma limitato solo al legname “morto” ossia rami ed alberi secchi e caduti.
La Lega di Attigliano reclamava quindi un loro diritto riconosciuto quando i contadini intervennero alla Bandita. Protestavano perché quel bosco era stato concesso in affitto ad un privato, uomo di fiducia del principe che abitava il palazzo ducale di Attigliano.
Nell’agosto 1908, un temporale estivo di particolare violenza aveva spezzato rami ed abbattuto alberi in gran quantità. Tutto legname che secondo la regola i contadini potevano raccogliere. Ma non la pensava così l’affittuario di quel bosco che rimase sordo ad ogni protesta. Continuò a far raccogliere la legna dai suoi operai che accompagnava al lavoro armato di tutto punto. All’arrivo dei dirigenti della Lega e dei contadini spianò il fucile nella loro direzione e alla minaccia di chiamare i carabinieri fece fuoco: due colpi di doppietta, con cui uccise il presidente ed il vicepresidente della Lega. Mentre ricaricava l’arma gli saltarono addosso gli altri contadini, ma riuscì ugualmente a fare di nuovo fuoco ferendo gravemente un’altra persona. Ma fu a sua volta colpito con diverse accettate una delle quali  gli taglio di netto la mano destra.
Mentre i feriti furono portati all’ospedale di Orte col treno, la tensione ad Attigliano era altissima. Da Roma partì una compagnia di soldati, da Narni furono mandati i carabinieri. L’ordine fu riportato con fatica. Il primo ad esser arrestato fu un contadino mentre Giuseppe Creta, l’uomo di fiducia del principe, era piantonato in ospedale, accusato di duplice omicidio.
La questione era comunque troppo sentita e ricca di risvolti politici per passare sotto silenzio. Intervennero la Camera del Lavoro di Terni e di Roma; mentre Pietro Leali (foto), deputato di Viterbo, un ex garibaldino che sedeva sui banchi dell’opposizone, portava la vicenda in parlamento chiedendo una legge sugli usi civici più precisa e che tenesse in maggiore considerazione le esigenze dei contadini.
Per il Governo Giolitti (in aula intervenne il sottosegretario all’agricoltura Giuseppe Sanarelli) ad Attigliano tutto era avvenuto non per la violazione di diritti; “La causale di questo fatto deplorevolissimo, non deve ricercarsi in un dissidio collettivo di carattere agrario- affermò il sottosegretario Sanarelli – ma semplicemente nella impulsività eccessiva, criminosa e morbosa di un protagonista di detta tragedia, impulsività che nessuna legge al mondo potrebbe prevenire”. Solo una fatalità, quindi. E tutto per colpa di un uomo troppo nervoso.

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