Il 22 settembre 1885
alle 5 del mattino il grosso dei lavori era completato: le acciaierie di Terni potevano annunciare che in breve avrebbero avuto a disposizione un grande maglio da usare per le proprie lavorazioni e nel contempo di far sapere a tutti, e con non poco orgoglio, che in quello stesso momento “si compieva la più grande fusione che sia stata fatta fin qui, non solo in Italia, ma forse anche fuori, non essendoci in tutto il mondo conosciuto un’opera d’arte di bronzo, ferro e acciaio del peso di 1000 tonnellate”.
Un’agenzia di stampa ( ma allora c’era praticamente solo la Stefani) lanciò la notizia che fu ripresa da quasi tutti i giornali. “La chabotte del gran maglio – riferiva – veniva formata da quella enorme massa di ghisa che, liquefatta, veniva inghiottita dalla voragine destinata a riceverla e preparata con molto studio, dappoiché l’armatura era composta di grossi strati di mattoni refrattari, di massi di ghisa, sabbia, cemento, lastrone di ghisa e da ben larghe e forti staffe di ferro risalienti dal fondo alle pareti, fortificate anche da tiranti saldissimi” “Questa operazione – recitava il testo del lancio – cominciata alle 8 antimeridiane di lunedì (21 settembre) è stata sospesa alle 5 antimeridiane del giorno successivo”. Un fatto eccezionale per la nuova fabbrica siderurgica italiana che “ha richiamato anche la curiosità del pubblico, che non poteva restare meglio appagata”.
Perché la chabotte del grande maglio fosse pronta ad ospitare il maglio si dovette aspettare il giovedì. “In complesso – fu il commento quando fu tutto finito – si è lavorato per circa 30 ore, con tanta regolarità ed ordine come se l’operazione si fosse ripetuta tante altre volte”.
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